La storia

La storia di Canosa

Su un pendio di un colle tra gli alvei dei torrenti Venna e S. Onofrio è posta Canosa Sannita (soltanto Canosa fino al 1864). Il suo territorio ricco di vigneti, si estende per 14,10 km2 su un’area dove le case, isolate o raggruppate in aggregati minori (frazioni di Orni e di Moggio), sono sparse su pendici dal tenue declivio. Medioevo. Scarse sono le notizie sulla storia di Canosa: la più antica, riguardante l’insediamento nel territorio risale al secolo IX; nel Memoratorium dell’abate Bertario, che contiene l’inventario dei possedimenti cassinesi nel comitato teatino, compaiono le chiese di S. Benedetto, S. Maria, S. Comizio e S. Silvestro, in loco qui dicitur Orni. Il toponimo è anche ricordato in una donazione del 1113 che Cono e Roberto, figli di Gisone, fanno al vescovo di Chieti del castello di Orni con i boschi, vigne, mulini e chiese che vi appartengono (Balducci, Reg., I, p. 5). Il castello di Orni e quello di Canosa erano punti di grande importanza strategica Iniziamo allora dalle fonti più antiche in nostro possesso, che risalgono al XIII sec. In quel periodo l’Italia medioevale conosceva le lotte fra Corradino di Svevia e Manfredi, lotte alle quali anche Canosa non era immune: il suo castello era apprezzato da molti, tra i quali Guglielmo di S.Giuliano, Giustiziere d’Abruzzo, che lo riteneva un ottimo punto strategico e di difesa. Tra l’altro, un fautore di Corradino, tale Torgisio, si aggirava nelle nostre terre, per costruire un esercito a favore dello svevo. Guglielmo di S.Giuliano allora spedì un capitano di nome Raone a difesa del castello di Canosa. Corradino scomparve ben presto dalla scena, decapitato a Napoli nel 1268, e il castello di Canosa passò nelle mani del Vicesecreto d’Abruzzo. Questo castello è ricordato in un documento del re Carlo d’Angiò, ove si nomina Roberto Morello capitano di Lanciano, per poter meglio difendere questo importante punto strategico da eventuali attacchi esterni. Con i secoli, i governatori del nostro paese cambiarono spesso. Il primo fu un certo Riccardo di S.Apollinare, che governava con la sua famiglia e Gentile di Lettomanoppello. Canosa contava poco più di 300 abitanti, ben protetti dal castello, ricco di viveri in caso di assedio, quasi inespugnabile, che impediva ai nemici di viaggiare in gruppo, cosa che sfavoriva l’attacco di eventuali truppe. Questo Gentile possedeva i sei ottavi del feudo di Canosa, di cui piccola parte con Franzica da Lettomanoppello. Il feudo pagava annualmente al papato, per le chiese, sotto il suo potere circa cinque tareni, che col tempo divenirono tre. Altri avvenimenti di rilievo si possono riscontrare nel 1531, quando Canosa passò sotto Emanuel de Vega, nome di chiara derivazione iberica. Il motivo di questo “cambio di proprietà” e’ da riscontrare nella ribellione di Lanciano, al quale apparteneva il feudo di Canosa, che si scontrò con Carlo V, allora imperatore. Questo passaggio ebbe anche motivi economici, poiché Canosa, aveva l’industria della lavorazione delle macine da mulino. È detto da un protocollo del notaio Macciocchini, che Don Alfonso Roderico e Ippolito Palmerio Mozzagrugno si erano accordati con dieci uomini per la consegna di 55 macine all’anno, al prezzo di sette ducati ognuna. La consegna avveniva nel castello di Canosa. In caso di mancato adempimento della consegna la multa era di 50 once d’oro. Lo stesso notaio Macciocchini riporta un documento del 1533, ove possiamo leggere che Don Alonso Roderigo, che governava i castelli di Ari, Arielli e Canosa era sotto il dominio degli Spagnoli, che badavano molto alla sua posizione strategica. Dal Concilio di Trento Nel periodo precedente il Concilio di Trento (che, in diverse fasi, è iniziato nel 1563), nel
quale furono ribaditi alcuni dogmi del Cattolicesimo anche nei confronti della Riforma luterana, l’autorità ecclesiastica era esercitata dal Vescovo, insieme agli Abati e a vari canonici. Capitò che Canosa con il suo feudo venne a trovarsi nel bel mezzo della linea di confine tra le due Diocesi, quella di Ortona e quella di Lanciano, e i rispettivi Vescovi cercavano di rivendicare la propria egemonia (se così la possiamo definire) su Canosa. Tra queste dispute è rimasta ai posteri quella in cui fu coinvolto l’allora parroco, Don Angellotto. Dobbiamo tra l’altro ricordare che la Diocesi di Ortona, risalente al V sec. d.C., ebbe anch’essa una storia travagliata, essendo stata soppressa nel secolo X, ripristinata nel ‘500 e unita successivamente a quella di Campli prima, e di Lanciano poi. Tornando a noi, sorsero queste dispute tra il Vescovo di Lanciano e di Ortona sulla possessione del nostro paese (naturalmente, sotto il punto di vista religioso). Era allora vescovo di Lanciano Giovanni Salazar; quest’ultimo ricevette dal Viceré di Toledo una missiva, con la quale lo esortava ad ammonire i vari sacerdoti dal non andare sotto la giurisdizione di Ortona. Il povero parroco di Canosa, il già citato Don Angellotto, era stato addirittura scomunicato, e con la forza fu indotto a riconoscere la supremazia del Vescovo lancianese. Ma la quiete è di brevissima durata per il nostro parroco: l’arciprete ortonese, Don Giovanni Bonfiglio, richiamò Don Angellotto all’obbedienza, e lo ammonì a non obbedire a ogni ordine del Vescovo lancianese. Nemmeno se si fosse trattato della visita pastorale. E così avvenne. Nel luglio del 1540 giunse il vescovo, Mons Giovanni Salazar, in visita a Canosa; don Angellotto non riuscì a svignarsela, come aveva già fatto qualcun’altro in tali occasioni, e capitò in mezzo a questa disputa. Col Vescovo c’erano alcuni canonici e quando il notaio Macciocchini domandò la chiave del Ciborio per l’ispezione, il parroco disse umilmente che non poteva: l’Arciprete di Ortona glielo aveva proibito. Aggiunse poi che avrebbe subito ubbidito, se avesse saputo chi fosse stato il suo superiore. Se, infatti, obbediva ad uno, disobbediva all’altro: davvero un bel rompicapo! La sorte volle che quello fosse un giorno infausto per il povero D. Angellotto: il Vescovo lo scomunicò, e fece registrare il tutto dal Notaio (il su citato Macciocchini). Comunque il Vescovo non ebbe niente da ridire sullo stato della Chiesa e, dopo aver amministrato la cresima, tornò a Lanciano. Per il povero Don Angellotto non ci fu, purtroppo niente da fare. Un fatto un po’ comico, un pò triste. Se ben ricordate. Canosa a partire dal XVI sec. era sotto il dominio degli Spagnoli e precisamente il nostro feudo era governato dal don Emanuele De Vega. Ho il dovere di precisare che. in quel periodo. non di rado accadeva che un feudo fosse suddiviso in vari frazionamenti: anche Canosa, per lo meno attorno al XIII – XIV sec., era suddiviso. in otto frazionamenti (e di conseguenza otto erano i signori che governavano il paese). Dalla famiglia dei Vegha si passa ai Valignani (1625) tra i quali troviamo Lelio Celaya – più tardi tale cognome diverrà Celaia – che acquistò il feudo da Caterina Petrucci di Siena e dal figlio Francesco. Poi troviamo un altro Lelio Celaia (1690) e, in seguito, Alvaro Celaia (1712), Altonso Celaia (1746) e ancora un Lelio Celaia (probabilmente nel 1794) che sposò Ippolita Celaia. sua parente. Le numerose figlie dei duchi Celaia favorirono ulteriormente. dal punto di vista politico il frazionamento del paese, essendo ora i rispettivi mariti ad esercitare il dominio sul territorio canosino. Con il decreto del Re Giuseppe Napoleone fu abolita la feudalità (2 agosto 1806), ma Canosa fu sempre soggiogata e dominata da potenze straniere. Va ricercato anche in questo motivo la nascita del brigantaggio meridionale, che interessò anche il nostro paese. Da non dimenticare poi i vari processi che subirono diversi nostri cittadini per “intolleranza” del nuovo regime. Ricordiamo: Tiberi Biase, residente a Canosa. con l’accusa di aver riunito varie persone contro il Governo (1848): imprigionato, fu messo in libertà provvisoria (1850), poi completamente scarcerato (1856); Torrese Francesco fu Giuseppe fu accusato per lo stesso motivo ed anch’egli ricevette i benefici della libertà provvisoria: Granata Francesco fu Giuseppe accusato di voler screditare il governo di Tocco Casauria: anch’egli fu scarcerato pochi anni dopo: De Felice Felice fu Vincenzo fu incolpato di aver tenuto un discorso contro il governo: dopo fu indultato. Il caso che più salta agli occhi è però quello di De Pillis Vincenzo, Tiberi Biagio e Matteucci Carlo Filippo che furono accusati di cospirazione al Re: furono liberati nel 1855. nonostante esistessero prove scritte della tentata cospirazione. Lasciando le pagine un po’ truci riguardanti i precedenti penali dei nostri avi e spostandoci a notizie più interessanti. ho notato che Canosa, a partire dal 1862 (anno dell’unità d’Italia) era un “Monte Frumentario”; ciò significa che prestava ai paesi vicini grano e cereali in genere. L’amministrazione del Monte era a carico del sindaco e di due consiglieri eletti appositamente. Leggendo i vari bilanci. sappiamo ora che Canosa aveva per questo motivo una rendita annua di 754 lire (anche se. nei registri. non vi è alcuna specificazione riguardo la moneta utilizzata nei bilanci), un’imposta a 158 lire: stipendi ed onorari pari a 84 lire: una somma di 6.000 lire per beneficenza: un aggravio temporaneo di 112 lire e perpetuo di 536. Il Monte Frumentario assisteva almeno 300 persone. Fenomeno del Brigantaggio Ritorniamo adesso al brigantaggio. Il fenomeno del brigantaggio diffuso soprattutto in Campania, Puglia, Basilicata, toccò anche le miti (fino ad allora) terre d’Abruzzo. Nella nostra zona e nei paesi vicini, sono ricordate le scorribande del brigante Nunziato Mecola. Egli, come tanti altri, era diventato un fuorilegge dopo l’annessione al Regno del 1861, non trovando più, probabilmente, alcuna possibilità di vivere se non quella di saccheggiare il prossimo. Questi banditi erano spesso fomentati dai sostenitori del vecchio regime, vale a dire quello borbonico di Francesco II, che non sopportava il partito liberale, allora al potere. Ritornando al Mecola e ai suoi briganti egli aveva posto il suo rifugio ad Orsogna. Da qui il 30 novembre 1861 mosse verso Anelli, ove fece un incredibile massacro di guardie e di popolani, autoproclamandosi in seguito Generale di Francesco II. Nella notte successiva vi furono le prime manifestazioni da parte del popolo contro il governo represse invano dalle Guardie Nazionali, che non poterono far altro che arrestare un certo Tommaso Di Camillo, capo dei rivoltosi locali. Il giorno dopo giunsero al Mecola altri rinforzi; contemporaneamente viene abbattuto lo stemma sabaudo e bruciati tutti i simboli del potere monarchico. Il 3 dicembre partì da Tollo, un corpo di venticinque carabinieri e alcune guardie nazionali col compito di ristabilire l’ordine. Il Mecola fomenta gli istinti del popolo alla rivolta e minacciando tutti coloro che non l’avessero seguito di morte, abbandonò Arielli e si diresse ad Ari, dove si comportò alla stessa maniera. Poi fece impeto verso Canosa. In paese avvenne un fatto assai truce; l’omicidio del tenente della Guardia Nazionale Carlo Filippo Matteucci. L’uomo, troppo fidente di se e del paese, non volle ascoltare i consigli degli amici e dei parenti cedendo alle prime tristi voci che annunciavano l’arrivo del Mecola”. Il Matteucci pagò caro questo suo atto di coraggio: fu “perseguitato, sorpreso, ammanettato, legato con una fune, trascinato per la via, colpito con armi da fuoco, sbalzato a terra, rialzato, riafferrato, percosso, schiacciato a colpi di fucile…”. Queste orribili sevizie fanno rabbrividire ancora oggi per la loro barbara disumanità; il povero Matteucci fu inoltre lasciato sanguinante nei pressi del mattatoio per tre giorni. Poi si celebrarono le esequie, effettuate dal parroco don Vincenzo De Pillis. Il Mecola avrebbe lasciato per chissà quanto tempo ancora quel cadavere nel mattatoio, se la moglie del Matteucci, tale Anna Torrese, non avesse implorato per il marito la sepoltura. (È rimasta traccia dell’abominevole episodio un detto canosino “vu fa la fine di Care Filippe?”, pronunciato nel passato per dare maggior vigore ad una minaccia). Gli assassini del povero Matteucci furono Giacomo Matteucci, Giuliano Di Carlo), Pietro Maria Scenna, Carminantonio Scioletti, Salvatore Pace. Giacomo Matteucci fu ucciso poi nello stesso luogo (dove morì il tenente, appeso ad un palo; le fonti ci raccontano che la gente gli girava attorno e lo insultava coprendolo anche di sputi. Giuliano Di Carlo fu invece fucilato. Il Mecola continuò in seguito la sua opera di “restaurazione” del vecchio regime come la chiamava lui. Giunto a Tollo il 27 dicembre, con degli ex militari che avevano dovuto seguirlo per evitare di essere uccisi, il Mecola costrinse le Guardie Nazionali del piccolo centro a fare marcia indietro, poi saccheggiò ed incendiò diverse abitazioni. In seguito aprì le carceri, facendo uscire tutti i detenuti. Prima di lasciare Tollo, Nunziato Mecola scelse una guarnigione che doveva “governare” il paese, comandata dal vasaio Gabriele Marino e da Giustino Polidoro; poi si diresse alla volta di Miglianico, ove ripeté le stesse azioni. Ultima tappa della scorribanda fu Orsogna (4 gennaio 1862). Il 17 marzo 1861 è sicuramente una data storica nella storia d’Italia: vi è la tanto sospirata unificazione, cui tanti intellettuali, tanti patrioti avevano sperato e per cui erano morti migliaia di giovani eroi; di conseguenza, anche Canosa entra a far parte del neonato Regno. E, come altri comuni, entrano di scena nuove istituzioni, nuove leggi, nuove tasse e nuovi doveri: tra questi è da menzionare l’obbligo, fatto a tutti i comuni, di modificare il proprio nome in maniera tale che non vi fossero cittadine con lo stesso appellativo. Nuovo appellativo Innanzitutto passiamo alla spiegazione dell’origine del nome Canosa; riguardo a ciò, dobbiamo rifarci al toponimo, risalente all’etrusco, “Canusia” (o “Canusium”), che richiama altri toponimi come “Perusia”, “Bandusia”, territori sui quali il regno etrusco estese la sua egemonia durante la sua breve vita (ciò sta’ anche a dimostrare l’antichità del nostro paese). Tale toponimo trova poi un corrispondente in tre località pugliesi: “Camna Amnis”, Cannae” e Canusium” l’odierna Canosa di Puglia. Riguardo al “cognome”, le motivazioni sono più complesse. Come la maggior parte di noi sa, il nostro paese ha aggiunto l’aggettivo “Sannita” affianco al nome originario: la scelta è probabilmente dettata da importanti motivi storici. I Sanniti erano una popolazione italica che, stabilitasi nell’Italia centro meridionale attorno al II millennio a. C., ebbero notevole importanza nelle prime fasi dello sviluppo di Roma. Amministrativamente divisi in federazioni (irpini, caudini, cereceni, pentri) avevano i loro centri principali in città come Aeseina, Bovianum e Beneventum (sono facilmente intuibili gli odierni nomi di queste città), da cui iniziarono una politica di espansione ai danni delle popolazioni italiche vicine. I Sanniti ne uscirono sconfitti, salvando tuttavia l’indipendenza e con l’orgoglio di aver inflitto una delle più coerenti sconfitte che la storia romana ricordi, quella delle Forche Caudine (321 a. C.). Con la guerra sociale, anche loro entrarono nell’ormai vasto territorio di Roma (90 – 88 a. C.), acquisendo anche la cittadinanza romana: da allora la storia dei Sanniti si confuse con quella dei Romani. Si concludeva così l’epopea di un grande popolo, semplice, ma coraggioso, che ha consegnato il suo nome alla storia e… più modestamente, anche a Canosa! Si potrebbe obiettare che il Sannio non comprendeva Canosa: ebbene, alcune fonti (cfr. “Storia della Chiesa “, vol. IV ed. Saie – Torino) affermano invece il contrario, indicando anche come i Sanniti avevano conquistato vasti territori. Molto probabilmente dunque, è questa l’origine del nome “Sannita”. Ho ora affermato che la legge su citata è del 1861: abbiamo comunque documenti posteriori a questa data che recano ancora il nome “Canusium”: solo dal 1863 incontriamo con regolarità anche la dicitura “de Samnio” “Sannita”: come si vede, l’Italia era stata fatta, ma era ancora un po’ traballante e, stranamente, lo è ancora oggi (… absit iniuria verbis!).

 

Visualizza e stampa la scheda “La storia di Canosa